Sunday, February 03, 2008

Domenica, 03 febbraio 2008 (la mia prima messa nella lingua italiana)

Domenica, 03 febbraio 2008

Oggi è la quarta domenica del tempo ordinario nel calendario della liturgia. Dopo quattro mesi della mia permanenza ad Ancona, Italia, e d’imparare l'italiano, finalmente oggi per la prima volta nella mia vita, ho presieduto la santa messa in lingua italiana, accompagnati da Padre Narciso. Lui mi ha offerto ieri presiederla. Prima della messa avviato, il parroco ha portato il rito delle candele obbedendo il giorno di San Biagio. Si è svolta presso la chiesa di Varano, San Pietro Martire, a circa dieci minuti da casa nostra Saveriani. Le persone che hanno partecipato alla messa sono soprattutto giovani e bambini. Anche durante la messa alcune ragazze suonato chitarre e cantato alcune canzoni. Si tratta di una chiesa vita ho mai visto qui, ad Ancona. Finora ho partecipato ad alcune messe in Italia senza vedere i bambini intorno, ma le donne anziane come la maggioranza. Oggi è una nuova esperienza per me questa realtà.

Sì, è la mia prima volta che presiede la messa in lingua italiana, compresa la predicazione. E' corretto svolgimento come ho preparato e praticata in precedenza. Ero fiducioso di fare sensazione è successo dal momento che è molto facile da pronunciare parole italiane, anche se mi rendevo conto che non tutte le parole che ho potuto pronunciare correttamente. Alcune parole hanno un accento diverso. Come si viaggia in auto guidata da Padre Narciso, ho visto nella strada un italiano parole che dice "Varano, il paese dei dialetti", quindi ho pensato che io sono venuto a Varano a dire la messa usando il mio accento indonesiana e giavanese come ho parlavano l’italiano. Prima della messa terminata, il parroco ha dato grazie a noi che abbiamo celebrato la Santa Messa poi dopo ho detto grazie anche ai fedeli. Ho detto che sono felice di avere questa opportunità che presiede la Messa. Onestamente, ho detto loro che, dopo quattro mesi in Italia, mi ha detto la Messa in italiano. Essi hanno risposto con entusiasmo da clapping loro mani, che mi applausi. Tutti in tutto, ringrazio Dio per questa grande esperienza e aspettiamo altre meravigliose.

Eccola è la mia omelia che io ho predicatola nella messa:


1. Il Vangelo dei”beati” domina la Liturgia di questa Domenica. E’ l’incipit del discorso della montagna. Gesù che sale sul monte ci appare come il nuovo Mosè, promulgatore della nuova Legge («ma io vi dico...!») sul nuovo Sinai. Proclamando beati i poveri e gli umili Gesù parla il linguaggio che Dio aveva già usato col suo popolo attraverso i profeti, quello, per esempio, di Sofonia, che noi ascoltiamo nella Prima Lettura. Lo stesso linguaggio adopera anche san Paolo (Seconda Lettura): i primi ad essere chiamati sono sempre i piccoli, i poveri, quelli che il mondo disprezza, ma che sono grandi nel regno dei cieli.

2. Il discorso è davvero un capovolgimento di quelli che tradizionalmente erano ritenuti valori. Gli Ebrei coltivavano la convinzione che la prosperità materiale, il successo, fossero segni della benedizione di Dio, e segno di maledizione la povertà e la sterilità. Gesù denuncia l’ambiguità di una rappresentazione terrena della beatitudine. Ormai i beati non sono più i ricchi di questo mondo, i sazi, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati.

3. E’ la nuova logica, quella che esprime Maria, la beata per eccellenza: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili: ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc I ,52-53).

4. Le nove beatitudini di Matteo si riassumono nella prima: «Beati i poveri in spirito». Le altre sono un corollario e una esplicitazione di questa. Il riconoscersi poveri, deboli, non è, però, prima di tutto uno stato sociologico, ma un “dono”! La sola povertà non è di per sé un bene e neppure una situazione di ascesi. Ma essere ricchi - secondo la mentalità di questo mondo - significa avere potere, ricevere onori e avere un posto di supremazia sugli altri; e qui comincia il pericolo, perché dove c’è potere, ricchezza e supremazia, ci sono molto spesso gli oppressi, gli schiacciati, gli ultimi. Ed è a questi che va il regno dei cieli. Con questi si schiera Gesù. Essi sono gli eletti.

5. Gesù si presenta come il messaggero inviato da Dio per annunciare ai poveri la Buona Novella: la sua sollecitudine per i poveri, gli infelici, gli ammalati era il segno della sua missione. Gesù porta ai diseredati non solo l’assicurazione che un giorno godranno il Regno di Dio, ma annuncia loro che questo regno è arrivato. La missione di Gesù si estende, oltre che ai poveri, a tutte le miserie fisiche e spirituali; tutte attirano la sua compassione. Inaugurando l’era della salvezza, Dio accorda una priorità a tutti coloro che della salvezza hanno un più urgente bisogno.

6. In un mondo come quello attuale ha ancora senso il discorso della montagna? Che senso ha far risuonare questo testo in una società di consumi che misura la felicità e la beatitudine sul metro dell’avere, del successo e del potere? E nel terzo mondo sottosviluppato e oppresso, che senso ha ripetere: «Beati i poveri.., beati i perseguitati...»? Non è forse uno schiaffo alla loro miseria o un tentativo di narcotizzare o di addormentare «la collera dei poveri»?

7. Eppure non possiamo annullare questa beatitudine senza annullare il Cristo. Il primo povero, infatti, è lui, che essendo ricco si è fatto povero per noi. Ai Filippesi, San Paolo scritto:


5 Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,6 il quale, pur essendo di natura divina,non considerò un tesoro gelosola sua uguaglianza con Dio;7 ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servoe divenendo simile agli uomini;apparso in forma umana,8 umiliò se stessofacendosi obbediente fino alla mortee alla morte di croce.
C’è, quindi, in questa beatitudine un appello a seguire quel Gesù che non ha trovato posto nell’albergo, che non aveva una pietra su cui posare il capo, che è morto povero e spoglio su una croce. E lo ha fatto per darsi tutto agli altri. La folla che ascolta e segue Gesù non è costituita da scribi, farisei, leviti, sacerdoti del tempio, potenti custodi dell’ordine. Segue Gesù la folla anonima del popolo minuto, che vive del suo lavoro, la gente che dai potenti del tempo era imbrogliata ed oppressa...

8. La povertà proclamata da Gesù non deve essere solo la caratteristica di ogni cristiano, ma il distintivo e la beatitudine della Chiesa e della Comunità cristiana in quanto tale. Uno dei momenti forti della “conversione” a cui il Concilio ha chiamato la Chiesa è la povertà. Non è forse da una certa ricchezza di mezzi, da un certo attaccamento al denaro e al potere entro la Chiesa, che nasce in molti cristiani un senso di disagio? Nella nostra comunità Cristana nel mondo sono presenti molte persone che hanno disponibilità di mezzi e di cultura. Essi non sono mai dispensati dal ricercare le vie della povertà e dal servire i propri fratelli e sorelle che sono nell’indigenza, perché è ancora e sempre nei poveri che si incontra colui che è venuto a salvare.

Come è la spiritualità di queste beatitudini animata dai missionari?
9. “Il missionario è l'uomo delle Beatitudini. Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli ad evangelizzare, indicando loro le vie della missione: povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le Beatitudini, attuate nella vita apostolica (cf Mt 5,1-12). Vivendo le Beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra concretamente che il Regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto. La caratteristica di ogni vita missionaria autentica è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l'annunciatore della buona novella deve essere una persona che ha trovato in Cristo la vera speranza" Redemptoris Missio (1990), n. 91

10. Scopriamo quindi l'attitudine del cristiano alla pace, alla misericordia, al perdono, al saper vivere con coerenza e sincerità di cuore. La beatitudine vera è proprio nel saper riconoscere il volto di Cristo nella nostra vita e far in modo che risplenda comunicando l'intima unione al Padre perché la nostra vita sia sempre informata dall'azione dello Spirito Santo.

11. Le beatitudini del cristiano riposano nella vita vissuta intensamente e anche nel saper affrontare le difficoltà senza l'angoscia e la disperazione che molte volte serpeggia in questo mondo affannato. Il cristiano trova il paradiso della sua beatitudine già in questa vita terrena. Non è la ricchezza materiale o la sua agiatezza che possono far scoprire il vero essere cristiani.

12. La beatitudine di Cristo non è neanche subire passivamente tutte le difficoltà e le ingiustizie che possiamo trovare nell'arco della vita. La vera beatitudine sta nello scoprire in queste difficoltà e nelle sofferenze, quel valore di redenzione che ci unisce al Mistero della Morte e Resurrezione di Cristo.

13. Facciamo nostre queste beatitudine per scoprire nei nostri cuori il vero Regno di Dio, Regno di amore e di misericordia e riconosciamo in Cristo il nostro vero Re. Quindi, potremo dire insieme: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.”